Per mezzo di singolari immagini Giuorato al riva: «Simile per te son fatto, ovverosia mar Tirreno; – l’anima straccia verso me piaga pungente, – verso te ferrata prora lacera il seno» (VIII); ovverosia, piuttosto singolarmente, alla cicala: «Tu delle arti tue la pelle hai nera, – per me tinge l’aspetto egro pallore
– a volte hai tu dal coltello il torace tagliato – di figlio arciera, ed io dall’arco nel contempo – accordato del divinita ch’e folle il cor diviso» (XI). Anch’egli s’indugia sbalordito ad vagheggiare il sagace prodotto della ricamatrice: «Arricchisce di bacche al mirto i rami, – finge la rosa di rosso caldo, – alla calta concede il suo lividore, – ed all’acanto i teneri legami» ( XII ). Esce durante accenti di cruccioso e deserto pessimismo: «All’uom, d’ogni animai con l’aggiunta di infelice, – animo, crudelissima noverca, – il cura de’ mali ha sol celato» ( XIII ); «I mali di qui in basso gravi son alquanto – che, attraverso guarir le travagliate genti, – e locale il riso ed e ancora locale il pianto» (XXIII);o dolorosamente contempia anch’egli la miserabile senilita: «Giunto l’uom di sua persona al verno faticoso, – annullare abbonamento gleeden di cave rughe e di canute brine – ha il lineamenti arato e disseminato il capelli, – per la gelida man del anziano volante. – Tremolo i piedi e gli omeri curvato . » (XV). Eppure con l’aggiunta di eccentrico e nel comprendere alcune fantastiche analogie: «Scoglio, ch’ha ammaccato il costa e ‘l pie saldo – nella mobilita dell’onde aosi!» (XIX); «Una tavolato forse allor parea, – in cui man di animo avea dipinto – di tutte cose un’abbozzata visione (XXII: Il accozzaglia); «Or ch’han le cose principio, auscultazione i venti – alitar durante lo atmosfera scheletro cedevole» (XXXI). E pur mi doglio e piango. E la occasione – del mio duol, del mio ricordato io non conosco» (XXIX).
Tra il apatico incontro delle piuttosto strambe argutezze, il Lubrano ha certi strappo allegro, nel celebrare «mostri» di ambiente o d’arte: le lucciole, cosicche «quasi di animo alati incanti – cangian le fughe con lampi, il ascesa per raggio» (IV); il fluido nervoso giacche giunge dalla torpedine alla giro del pescatore: «funambolo velen in gli ami nascosto – corre ad assiderar la man tremante» (IX); i cedri ridotti con varie orride figure unitamente tagli ingegnosi, mediante un giardino: «Rustiche frenesie, sogni fioriti, – deliri vegetabili odorosi . » (XI).
Durante un sonetto di Giovanni banda, la nulla da fuoco insieme cui si fanno i razzi «reca alla barbarie oscura, all’ombra ascosa – de’ suoi fatui splendor gruppo stolta» (III).
Con un singolare sonetto, giacche fa pensare al Pa- rini, muove un pieno ammonimento al danaroso perche vano vive delle fatiche altrui: «Versando agli ozi tuoi voler di numi – larga bonarieta, l’opre di tanti – affinche travaglian in questo luogo tu sol consumi» (XXVII)
Federico Meninni ammira meravigliato la vivacita dell’umano ingegno: «mediante bolla turno – Europa tutta epilogata io trovo . – Veggo regni remoti e condizione miro» (III); oppure medita accorato sulla sconforto del cedere, morendo, gli usati aspetti delle cose affinche per noi sopravviveranno: «mediante attuale alloggio, sopra cui ricovro ho caro . – altri faranno durante altra vita sala. – In codesto ottomana, ove attraverso l’ombre assonno – motivo rechi a’ miei sensi alcun refrigerio, – prossimo ancor chiudera le luci al assopimento .. .» (IV).
Lorenzo Casaburi descrive l’iridescenza luminosa dell’opale, aria di stupore a chi guarda: «or t’assembra carbuncolo stellante, – or di zaffiro, or d’ametisto e colorato . » (IV); e la bravura della giocatrice di cima: «Corre Clorinda per sui ritorti lini qual a causa di l’aeree vie stella cadente» (IX).
Pietro Casaburi dice liricamente, a tratti, mediante una lunga ode mitologica, lo disorientamento disabitato dei fiori e delle cose tutte, invece manchi la individuo bella ch’essi vagheggiarono: «Mimato di gemiti odorati – da te in lontananza sospira il bel Giacinto . – Lungi da te, tra l’odorosa discendenza, – schiude lai vegetanti Aiace smorto .